Spesso capita che di ritorno da un viaggio la domanda che ci si sente porre sia “cosa ti è piaciuto di più?”. Io, a dire il vero, faccio sempre molta fatica a rispondere, e questo probabilmente ha a che fare con la mia difficoltà a scegliere.
Pensando all’ultimo “vero” viaggio (cioè non a un week end fuori porta, ma a qualcosa di più impegnativo) ho ripensato al mio viaggio in Romania della scorsa estate.
La meta ha stupito moltissime persone, che probabilmente non avevano mai pensato che la Romania potesse essere una meta turistica. E invece.
Non posso che ringraziare la mia amica che, per questioni di cuore, in Romania è stata più e più volte, tornando sempre entusiasta e piena di meraviglia. Credo che quello che ha più colpito me in questo Paese, sia quello che (dai suoi racconti) aveva colpito anche lei: il legame tra l’uomo la terra, quell’essere nella natura che è una vita fatta di campi da arare, di carretti da guidare, di sole che cuoce la pelle e di fieno, tanto fieno da impilare in enormi balle.
Certo non a Bucarest e non nei maggiori centri, ma tra le zone che ho attraversato, la Transilvania è un’area verdeggiante in cui alle zone più boschive si alternano dolci colline (simili a quelle della nostra Toscana) che scivolano poi nel Maramures, il luogo in assoluto che più ho amato insieme alla Bucovina.
Certamente esistono luoghi nel mondo in cui la natura è ben più incontaminata, o imponente, o selvaggia… Tra i luoghi che ho visitato io, penso solo all’area dei fiordi norvegesi, ai deserti di roccia o di sabbia… Ma quello che qui mi ha davvero rapita è che qui la natura sia a stretto contatto con l’uomo. Si tratta forse di necessità, perché nella parte più a nord la popolazione vive quasi solamente di attività legate alla terra. E non sono pochi quelli che da questi luoghi scappano. Quello che a me è sembrato il sogno di un idillio che non esiste più, per i più giovani nativi del luogo spesso si tratta di zone che hanno poco da offrire, che difficilmente possono accogliere le ambizioni di chi sogna un futuro “migliore”.
Nelle nostre passeggiate nei villaggi, tra i campi, ci è capitato più volte di parlare con qualcuno che da lì è “fuggito”. Come la signora che, sotto il sole cocente con il foulard in testa (che io stessa non ho mancato di comprare: non potete immaginare il caldo che abbiamo sofferto da quelle parti!) ci racconta che lei da diversi anni vive a Torino. È lì e aiuta un’anziana signora con la pelle segnata dal sole e da una vita durissima, molto probabilmente la madre. Sono belle, di quella bellezza che è fatta di terra e di fatica. Guardo la nostra amica torinese e immagino che in tanti, dalle nostre parti, penseranno a lei come a una “minaccia”. La guardo in questa terra meravigliosa, dove si raccolgono le mele come da noi si staccano ghiande dalle querce, dove la terra è la madre di tutto, e penso che io forse non avrei la forza di fare quel sorriso che lei regala a noi.
Il romeno è una lingua certo non facile, ma in qualche modo ci si capisce. Non con tutti, certo. Ma quell’ometto dolce e gentile che cerca di spiegarci da che parte andare con la macchina, riesce a raccontarci che suo figlio abita a Brescia e fa l’autista. Lo dice con un orgoglio e una gioia che ti fanno sperare che suo figlio, a Brescia, stia bene e abbia incontrato persone di cuore, che gli chiedano di raccontargli quanto è bella la loro terra.
Come era da noi una volta, qui le donne “faticano” tantissimo. Sono in campagna, gestiscono queste giganti e suggestive balle di fieno con enormi forconi, aiutate dai bambini. Qualcuna ha anche il compito di tenere aperte le bellissime chiesette in legno sparse in tutto il Maramures, molte delle quali sono patrimonio dell’Unesco. Sono intermanete costruite in legno, e senza l’ombra di un chiodo. Intagliate, decorate e incastrate in ogni pezzo, ma senza chiodi, Attorno hanno piccoli cimiteri adagiati su prati incolti, che per qualche strano motivo appaiono armoniosi e gioiosi. In una di queste chiesette, una signora di cui è difficile stabilite l’età, e che è lì a cura e gestione della chiesa, parla con un piccolo gruppetto di viaggiatori che è arrivato prima di noi, tra cui qualche italiano.
Gli racconta che, si suppone molti anni fa, è stata in Italia, dalle parti di Bologna, dove per lavoro raccoglieva fragole. Non parlava una parola di italiano, ma non se l’è mai dimenticata: “veloce”. La signora racconta questo aneddoto ridendo, con una freschezza tale da rendere lieve anche la malinconia. “Io non capivo una parola. Ero chinata e raccoglievo fragole. La signora per cui lavoravo veniva lì, mi guardava scura in volto e mi diceva “veloce veloce veloce!!”. Io non capivo e quando lei si avvicinava mi metteva paura. Allora mi fermavo. E lei si arrabbiava e gridava “Veloce!!!!”.
Qui la Natura sembra portare l’identità di una terra di cui si percepisce l’orgoglio nei loro gesti e nei loro sorrisi. Certo, quando si è in macchina i carretti tranati da buoi e cavalli sono un bel rallanetamento… Ma sono irresistibili! E poi, basta scendere e cambiare velocità di crociera, e passeggiare. I contadini sono felici di essere fotografati, come potrebbe esserlo una bella ragazza che si vede fotografare di nascosto. Sono orgogliosi, e nei nostri occhi curiosi vedono riflesso il valore della loro terra. Ci fanno cenno di salire sul carretto con loro, e noi ci sentiamo come di aver appena ricevuto un invito a palazzo dalla regina. Ci guardano e ridono tra di loro, non ridono di noi con sprezzo, ma con l’aria divertita di chi capisce che per noi quello è un “gioco”, ma non un gioco qualiasi, quello che si aspettava da tempo e che si scarta con meraviglia!
Non è necessario parlare, le cose più vere si capiscono anche quando si parlano lingue diverse. A dirla tutta, è probabile che da una parte si parli una lingua, dall’altra un dialetto. Mentre ci inoltriamo tra le casette di una distesa verde in Bucovina, dopo aver passato un ponte mobile di quelli che pensi di cadere da un momento all’altro, ci affacciamo incuriositi ad ammirare un piccolo giardinetto-orticello, con tanti fiori colorati.
Si avvicina una signora, che a guardarla pensi possa avere 100 anni, e ci invita, nella sua incomprensibile lingua, ad entrare. Ci dice cose che non capiamo indicandoci i fiori e (crediamo) un piccolo pozzetto di acqua con i pesci. Ma una cosa è certa: lei è orgogliosa del suo giardino e fiera che qualcuno lo stia visitando. Noi le chiediamo di fare una foto insieme, in una di quelle surreali situazioni in cui non ci si capisce ma si continua a parlarsi. Lei, piccola piccola, si mette vicino a noi e credo proprio non sappia cosa sia uno smartphone, né tantomeno un selfie.
Riguardo questa foto e mi sembra di averle “rubato” qualcosa di preziosissimo, l’intoccabilità di un luogo che è magico proprio perché è lontano dal tempo.
Queste terre meravigliose fanno da scenario a una vita in cui il sorgere e il calare del sole hanno un senso vero e profondo, così vero da sembrare (per noi) irreale.
Io ringrazio il destino che mette sul mio cammino questi incontri tanto sfuggenti, quanto significativi.
Se avete deciso per un viaggio in questa bellissima terra, vi consiglio la formula on the road. Trovate i consigli nel post Itinerario on the road in Romania.
E mi raccomando, non perdete una visita alla splendida cittadina di Viscri in Transilvania !