Kilimangiaro, trekking di 6 giorni sulla montagna più alta dell’Africa – La particolarità di questo diario è che è stato scritto “on the road”, dalle prime riflessioni scritte in una camera d’albergo di Moshi fino ai racconti delle salite scritte nei campi in quota su carta e messi su computer una volta tornato alla base. Questo è stato il mio trekking al Kilimagiaro che ho ribattezzato #roadtokilimanjaro
Monte Kilimangiaro dove si trova?
Quest'articolo parla di:
- Monte Kilimangiaro dove si trova?
- Come organizzare il trekking sul Kilimangiaro: agenzie e prezzi
- Trekking sul Kilimangiaro, diario della salita giorno dopo giorno
- L’arrivo in Tanzania – giorno 0
- Nella foresta Pluviale: Machame Gate (1800 slm) – Machame Camp (2835 slm) – giorno 1
- You are over the clouds: Machame Camp (2835 slm) – Shira Cave Camp (3750 slm) – giorno 2
- La Salita a Lava Tower: Shera Camp 3750 – Lava Tower Camp (4600) – Baranco Camp (3900) – giorno 3
- Great Baranco e Baranco Wall: Baranco Camp (3900 slm) Great Baranco (4200)-Karanga Camp (3995 slm) – giorno 4
- Barafu Camp, la vigilia della cima: Karanga Camp (3995 slm) – Barafu Camp (4673 slm) – giorno 5
- Uhuru Peak, attacco alla cima: Barafu Camp (4673 slm) – Uhuru Peak (5895 slm) – Mweka Camp (3100 slm) – giorno 6
- Ritorno alla civiltà: Mweka Camp (3300 slm) – Mweka Gate (1800 slm) – giorno 7
- A chi è adatto il trekking sul Kilimangiaro
Facciamo chiarezza. Il monte Kilimangiaro (anche detto Chilimangiaro o Kilimanjiaro) è un vulcano (per la precisione uno “stratovulcano”) che si trova in Tanzania, uno stato dell’Africa orientale.
Il Kilimangiaro è la montagna più alta di tutta l’Africa, e con i suoi 5895 metri di altitudine è anche la montagna singola più alta del mondo e uno dei vulcani più alti della Terra.
Non si hanno notizie certe circa le eruzioni, ma una leggenda narra che l’ultima sia avvenuta circa 170 anni fa. La sommità del vulcano è coperta da un ghiacciaio perenne che si è ritirato in maniera consistente nell’ultimo secolo.
Come organizzare il trekking sul Kilimangiaro: agenzie e prezzi
Quando abbiamo deciso di iniziare a programmare quest’avventura la prima scelta da fare era l’agenzia a cui appoggiarci per l’organizzazione. Ci sono sia agenzie locali sia europee che offrono questo servizio.
Quanto costa il trekking sul Kilimangiaro
Le agenzie europee hanno costi maggiori perché bisogna sostenere le spese di viaggio delle guide ma offrono in più la possibilità di aver la guida che parla italiano mentre affidandosi a un’agenzia locale viene garantito che le guide parlino inglese. Per un trekking sul Kilimangiaro si può spendere dai 1300$ fino a oltre 2500$ a seconda della compagnia scelta e della via che si sceglie di salire.
Essendo il parco del Kilimangiaro una delle maggiori fonti di guadagno della Tanzania non è possibile fare questo trekking senza appoggiarsi ad una di queste compagnie.
La nostra scelta è ricaduta sui Kessy Brothers, agenzia locale di Moshi che si è rivelata tra le più vantaggiose. Tutti i contatti sono avvenuti via mail e l’incontro vero e proprio solo il giorno prima della partenza del trekking. Per la nostra spedizione il prezzo è stato di 1425 $ comprensivo di permessi di ingresso nel parco, tutta la logistica della spedizione, i pasti (3 al giorno più una merenda), il servizio navetta dall’aeroporto e il pernottamento per la notte tra il nostro arrivo e l’inizio del Trekking. Rimangono fuori dal prezzo pattuito i voli A/R, il costo del visto d’ingresso in Tanzania(50 $), le mance per guide e porters e le assicurazioni di viaggio.
A questo proposito ti ricordo che l‘assicurazione di viaggio è fondamentale. In Tanzania, infatti, non è previsto alcun tipo di copertura sanitaria da parte del Sistema Sanitario Nazionale. Non ci sono accordi tra Italia e Tanzania per cui anche un piccolo infortunio può risultare molto costoso.
Nella schermata sottostante puoi trovare l’esempio di un’assicurazione viaggio di una settimana in Tanzania. Come lettore di questo blog avrai il 10% di sconto per qualsiasi assicurazione viaggio!
Noleggio equipaggiamento
Un servizio fondamentale poi è la fornitura dell’equipaggiamento in caso di necessità. Il giorno prima della partenza abbiamo fatto una riunione con il loro staff per indicargli quali attrezzature ci avrebbero dovuto fornire. Era già stato concordato via mail che tende e sacchi a pelo li avrebbero forniti loro, in aggiunta abbiamo chiesto bacchette telescopiche da trekking, pantaloni antivento, e qualche passamontagna per chi non ne era fornito. La possibilità di avere l’attrezzatura compresa nel prezzo abbassa di molto il costo totale della spedizione, un sacco a pelo d’alta quota difficilmente costa meno di 300€. L’unica cosa che consiglio di non noleggiare mai sono gli scarponi perché per un trekking così lungo vanno provati più volte per evitare sorprese in viaggio. Non tutte le compagnie che organizzano questo tipo di trekking forniscono le attrezzature comprese nel prezzo, motivo in più che ha indirizzato la nostra scelta verso i Kessy Brothers.
Costi extra
Per quanto riguarda gli extra bisogna parlare di mance ed assicurazione di viaggio. Le mance sono una consuetudine per questo tipi di trekking, date in dollari direttamente al capo spedizione che poi li ripartisce tra i vari membri del team. Si danno sempre alla fine della spedizione e a seconda del ruolo, guida, crew (cuoco, portatore d’alta quota, aiuto cuoco) o portatore semplice spetta una determinata somma al giorno. L’assicurazione di viaggio è facoltativa, in caso vogliate farne una prima della partenza è importante leggere bene tutte le condizioni perché non tutte coprono spedizioni alpinistiche o trekking sopra i 4000 metri.
Vaccinazioni per il trekking sul Kilimangiaro
L’unica vaccinazione obbligatoria è quella contro la febbre gialla. Facoltativa la profilassi antimalaria.
Trekking sul Kilimangiaro, diario della salita giorno dopo giorno
“Arriveremo mai in cima?”
8 amici in cerca di una risposta, intorno a un tavolo, in aeroporto, sorseggiando una birra e immaginando cosa sarebbe potuto accadere da lì a poche ore.
Cosa ci abbia portato sul Kilimangiaro è un mix di ragioni e fattori: la passione per la montagna che ci accomuna, la possibilità di vedere ambienti e panorami unici al mondo, la voglia di condividere questa esperienza con le persone a cui si è maggiormente legati, e un pizzico di sana follia che ci ha fatto scegliere un trekking così affascinante ed impegnativo invece della classica vacanza al mare.
Partiamo da Malpensa venerdì 16 agosto, il volo ci porta dopo uno scalo a Doha all’aeroporto di Kilimanjaro nel primo pomeriggio di sabato.
L’arrivo in Tanzania – giorno 0
All’uscita dell’aeroporto, ad attenderci un van dei Kessy Brothers, agenzia locale a cui ci siamo affidati per la nostra avventura. Veniamo accompagnati nei loro uffici per un brief pre-partenza e il controllo dell’attrezzatura necessaria, ci informano che l’indomani mattina alle 9 verranno a prenderci in albergo per iniziare la nostra avventura. Veniamo quindi accompagnati in albergo per goderci gli ultimi comfort prima della partenza, una cena, una doccia calda, qualche birra, e poi a riposare con in testa sempre la solita domanda “Arriveremo in cima?”.
Nella foresta Pluviale: Machame Gate (1800 slm) – Machame Camp (2835 slm) – giorno 1
Tempo di percorrenza 5 ore
Prima di partire
Domenica mattina alle 9 come da accordi il Van dei Kessy Brothers è fuori dal nostro hotel ad aspettarci e conosciamo le guide che ci accompagneranno. Stewart, capo guida e responsabile della spedizione, Jackson seconda guida che si occuperà di dettare l’andatura per tutta la salita, Cornell e Arnold, due guide più giovani che saranno sempre con noi durante ogni uscita. Dopo circa un’ora abbondante di strada siamo al Machame Gate, ingresso del parco del Kilimangiaro da cui partirà la nostra salita.
Mentre le nostre guide si occupano di tutta la parte burocratica, delle registrazioni, pesa degli zaini e divisione di tutto il materiale tra i portatori, noi abbiamo tempo per farci le classiche foto di rito pre-partenza sotto l’insegna Machame Gate, pranzare con il pranzo al sacco che ci è stato offerto-hamburger, pollo, un muffin, frutta e succo di mango- riempire le borracce e sistemare gli zaini.
L’inizio dell’avventura
“Starting Point, Machame Route wishing you a good climb”, questo cartello è il segnale che ci stiamo lasciando alle spalle il mondo civile per immergerci completamente nella natura.
“Pole Pole”, in Swahili significa “piano piano”. Sarà questa la parola d’ordine di tutta la nostra spedizione: Jackson manterrà un passo costante e continuo per tutta la salita, tenendoci sempre dietro e non permettendoci di superarlo. Questa scelta darà i suoi frutti consentendoci un acclimatamento perfetto senza sovraccaricare le gambe di acido lattico.
Nella foresta, con le scimmie
Iniziamo ad incamminarci lasciandoci alle spalle il gate ed inoltrandoci subito nella foresta pluviale che occupa i primi metri di dislivello che percorreremo. Mi è capitato spesso di camminare nei boschi delle nostre Alpi, ma è la prima volta per me in una foresta di questo tipo. La vegetazione fittissima non lascia spazio ad alcun raggio di sole, la strada che stiamo percorrendo é stata evidentemente aperta in maniera artificiale. Attorno a noi alberi popolati di scimmie che saltano da un ramo all’altro, ci guardano un po’ incuriosite ma ormai abituate a veder passare comitive di sognatori a caccia della vetta.
Spesso ci troviamo a camminare con lo sguardo rivolto al cielo per vedere quello che ci succede intorno, altrettante volte sono le guide a farci fermare per farci vedere qualcosa che sta sfuggendo ai nostri occhi. Facciamo una pausa a metà percorso dopo circa 2 ore e mezza, prima di rimetterci in cammino. Dopo 4 ore di avanzata, la foresta pian piano lascia spazio ad una vegetazione meno fitta e le piante sono notevolmente più basse. Le scimmie sono solo un ricordo delle prime ore di cammino.
La notte a Machame Camp
Sono passate ormai 5 ore da quando siamo partiti alle 13 dal Gate e lì davanti a noi, ora ben visibile, il nostro primo campo base. Ogni campo sulla montagna ha una scultura in legno con scritta l’altezza e i tempi di percorrenza da lì alle successive destinazioni. Il nostro “indirizzo” per la prima notte in quota ci colloca a Machame Camp, 2835 slm.
Troviamo il campo già allestito con 4 tende per dormire, una tenda bagno, una tenda con tavoli e sedie che sarà la nostra sala da pranzo, e una tenda cucina in cui il nostro cuoco ci preparerà la cena. Veniamo invitati a sederci per un “aperitivo”. Dimenticate chiaramente spritz e birrette fresche, il nostro primo aperitivo sulla montagna è un thé caldo con dei popcorn: una bevanda di ristoro, dal momento che il sole sta tramontando e l’escursione termica inizia a farsi sentire. Se la salita è stata fatta solo in maglietta ora, una volta tramontato il sole, sono necessarie pile e maglie termiche.
È buio ormai, e in un’atmosfera suggestiva e surreale, la cena è servita: una zuppa calda di verdure, pesce fritto e patate fritte. Per esser cucinata a 3000 metri circa in una cucina da campo non potevamo aspettarci di meglio. A fine cena Stewart viene a salutarci e a dirci che l’indomani la sveglia sarà alle 6.45, con colazione alle 7.15 per metterci in marcia alle 8.
La Via Lattea
Usciamo dalla tenda per andare ognuno nelle rispettive tende per la notte e davanti ai nostri occhi increduli, uno spettacolo tanto stupendo quanto inaspettato. Premetto che non sono un appassionato di astronomia, ma quello che mi son trovato davanti alzando la testa verso il cielo credo non lo dimenticherò mai. Una distesa di stelle come non ne ho mai viste, con la Via Lattea visibile ad occhio nudo che taglia orizzontalmente l’intera volta celeste, e uno spicchio di luna che illumina i ghiacci rimasti vicino alla vetta.
È tempo ora di andare a dormire, domani si parte presto.
You are over the clouds: Machame Camp (2835 slm) – Shira Cave Camp (3750 slm) – giorno 2
Tempo di percorrenza : 5 Ore
Il freddo della notte insieme all’altitudine erano la grande incognita pre-partenza di tutta la spedizione. Non avendo mai dormito in tenda a quelle quote non sapevamo quanto la temperatura scendesse e se fossimo abbastanza coperti. Tutti i dubbi sono svaniti appena entrati nei sacchi a pelo messi a nostra disposizione dagli organizzatori e le temperature notturne non sono mai state un problema.
Quella mattina veniamo svegliati da Barak, il nostro aiuto cuoco che ci serve del té caldo direttamente in tenda. La colazione viene servita mezz’ora dopo la sveglia: pancake, uova, salsicce e frutta che serviranno a darci energia necessaria alla salita. Come da programma partiamo alle 8 e ci incamminiamo. La salita è più verticale del giorno precedente ma non ci crea particolari problemi, la foresta ha ormai lasciato spazio alla brughiera, gli alberi altissimi sono un ricordo del giorno precedente e la vegetazione è composta da piccoli arbusti, proprio come nell’ultimo tratto di salita al Machame camp. Il mònito di Jackson “Pole Pole” scandisce anche oggi il nostro passo e, come ieri, saliamo di circa 200 metri all’ora con una pausa poco sopra la metà del percorso.
Trekking sopra le nuvole
Stewart una volta fermati ci guarda e dice “look guys, you’re over the clouds”, guardate ragazzi, siete sopra le nuvole. Sotto di noi infatti una distesa di nuvole che copre interamente tutto il panorama.
Da quel momento in poi saremmo rimasti sempre sopra le nuvole.
Proseguiamo il nostro cammino e dopo 5 ore davanti a noi un’indicazione “Shera Camp, 3750 metri” ci accoglie a destinazione. Tabella di marcia anche per oggi perfettamente rispettata: partenza alle ore 8 con arrivo al campo alle 13.10, proprio come da programma.
Una volta pranzato con pollo e riso abbiamo un paio d’ore per rilassarci, chi legge, chi gioca a carte, e alle 16 partiamo per una breve salita di acclimatamento, poco meno di un’ora per superare per la prima volta i 4000 metri. Eravamo saliti a luglio sul Breithorn, un 4000 metri sulle alpi, circondati da ghiaccio e sotto un gran vento. Il primo assaggio dei 4000 metri in Africa è completamente differente. Non c’è chiaramente ghiaccio, non c’è vento e grazie alla presenza del sole si stava bene in maglietta. Rimaniamo a 4000 metri per una decina di minuti prima di scendere nuovamente al campo per cena e notte.
La Salita a Lava Tower: Shera Camp 3750 – Lava Tower Camp (4600) – Baranco Camp (3900) – giorno 3
Il giorno tre da programma risulta essere quello più duro ai fini dell’acclimatamento: 800 metri in salita per arrivare al Lava Tower Camp e poi 700 in discesa fino al Baranco Camp per trascorrere la notte. Era il primo giorno in cui avremmo raggiunto quote significative rispetto al nostro obbiettivo finale. Partiamo come sempre la mattina presto, per le 8, dopo aver fatto colazione. Andatura come sempre costante, quello che cambia questa volta è il paesaggio intorno a noi. Siamo sulla Luna, più precisamente in quello che viene chiamato deserto alpino o paesaggio lunare. Il tragitto non è particolarmente verticale, ma è la prima volta che ci troviamo a fare i conti con l’altitudine, e il corpo non tarda ad inviarci i primi sintomi: respiro talvolta irregolare e testa più pesante del solito. Nulla di particolarmente limitante, riusciamo comunque ad andare avanti e non mollare.
Lava Tower Camp
Il Kilimangiaro si presenta finalmente per quello che è in tutto il suo fascino naturale: un vulcano silente che troneggia nel cielo dell’Africa. La terra e i sassi sono neri, un paesaggio completamente arso e sterile, dove non esiste minima traccia di vegetazione. Il Lava Tower Camp non è nient’altro che un campo di appoggio ai piedi di una torre di lava, probabile frutto di un’antica eruzione. Poco prima del campo, la morena di un ghiacciaio che fino a non molti anni fa ricopriva tutta la zona cattura la nostra attenzione. E infine eccola, davanti a noi, la nostra meta che sembra non arrivare mai: le distanze in quota sembrano dilatate, il tempo, distorto. La torre di lava ora è lì, sulla nostra destra, son passate più di quattro ore dalla nostra partenza e finalmente davanti a noi la scritta: Lava Tower Camp 4600 metri.
La discesa verso il Baranco Camp
La sosta al campo per il pranzo ci restituisce le energie spese durante la salita. Una volta pranzato rimaniamo al campo per poco più di mezz’ora prima di iniziare la discesa verso il Baranco Camp. La discesa è lunga, pesa abbastanza su gambe e ginocchia. La stanchezza della mattina si fa sentire. Torniamo a vedere qualche arbusto e piccole piante scendendo, lasciandoci dietro il deserto Alpino. Dopo 3 ore di discesa siamo al campo, il totale della giornata dice 7 ore di cammino e 1500 metri di dislivello, ma per noi sono state molte di più.
E’ proprio qui, una volta scesa l’adrenalina, che l’altitudine e 3 giorni di cammino, iniziano a farsi sentire: mal di testa, nausea, e un senso di stordimento paragonabile ad un leggero post sbornia. Riusciremo ad arrivare in cima? Questa volta la domanda ce la poniamo in tono più preoccupato. Il campo è in una posizione meravigliosa, si lascia alle spalle una distesa di nuvole e guarda davanti a sé ciò che del Kilimanjiaro resta da scalare, anche se la cima in realtà non sarà mai visibile. Di notte, con la sola luna ad illuminarlo, quel vulcano ha un fascino indescrivibile.
Great Baranco e Baranco Wall: Baranco Camp (3900 slm) Great Baranco (4200)-Karanga Camp (3995 slm) – giorno 4
Tempo di percorrenza : 4 ore
Il programma del quarto giorno, dopo la consueta ed abbondante colazione, prevede una salita al Great Baranco ed una discesa poi al Karanga Camp. La salita è la parte più divertente di tutta la spedizione. Non è più un sentiero classico ma è un’elementare arrampicata su delle rocce. Riposte per la prima volta le bacchette nello zaino saliamo in alcuni punti aiutandoci anche con le mani. È spettacolare vedere come passaggi per noi complicati siano affrontati dai portatori con quasi 30 kg sulle spalle con una naturalezza incredibile.
Great Baranco
Servono circa due ore per essere in cima al Great Baranco, una sorta di altipiano a circa 4200 m che affaccia sul ghiacciaio rimasto. Fatta lì la nostra sosta di metà percorso iniziamo a scendere verso il Karanga Camp, che ci accoglie per pranzo. Dopo pranzo effettuiamo un ulteriore salita dopo quella del mattino fino ai 4200 metri, percorrendo una parte del sentiero che avremmo dovuto percorrere la mattina seguente. Tra andata e ritorno il tragitto non dura più di due ore e prima che faccia buio siamo nuovamente a Karanga Camp. Gli effetti dell’altitudine provati la notte precedente si sono affievoliti, questa ulteriore salita ci permette di migliorare ulteriormente il nostro acclimatamento.
Inizia a farsi strada l’idea che forse ce la faremo. Mancano due giorni a tutte le nostre risposte.
Barafu Camp, la vigilia della cima: Karanga Camp (3995 slm) – Barafu Camp (4673 slm) – giorno 5
Tempo di percorrenza : 4 ore
L’emozione si fa sempre più grande e più presente. Obbiettivo di questo quinto giorno, dopo la sveglia presto, è essere al campo prima di pranzo, cenare molto presto perché a mezzanotte si parte per la vetta. Il percorso da Karanga Camp non è tecnicamente impegnativo, ma la quota lo rende un po’ più ostico. È la seconda salita a quelle altezze dopo il Lava Tower Camp. L’andatura lenta e costante di Jackson ci permette di non sentire sulle gambe la fatica, i problemi sono legati solo ad un leggero intontimento e ad un po’ di mal di testa.
Barafu Camp
Torniamo a camminare nel deserto Alpino e in 4 ore circa siamo al Barafu Camp, nostro punto di partenza per l’attacco alla cima. Arrivati al campo continuiamo a salire per prendere confidenza con il primo pezzo di via che affronteremo la notte seguente al buio. Si tratta di una salita su roccia abbastanza verticale che ci porta dai 4673 metri del campo fino a circa 4850. Fatta questa scendiamo per andare a pranzare e riposare. Pranziamo alle 13 e ceniamo verso le 17.30, così da poter riposare qualche ora prima dell’attacco alla vetta. Stewart come sempre dopo cena viene a spiegarci come sarà il percorso che affronteremo e a monitorare pressione e saturazione di ossigeno di ognuno di noi. Se le prime sere la saturazione si fermava sui 70 ora siamo circa sui 90, i parametri sono buoni. Sveglia alle 23, té caldo e biscotti e si parte per la vetta.
Uhuru Peak, attacco alla cima: Barafu Camp (4673 slm) – Uhuru Peak (5895 slm) – Mweka Camp (3100 slm) – giorno 6
Tempo di percorrenza: 12 ore
Partenza di notte verso la cima
Dormire è impossibile, l’adrenalina che gira in corpo è quella delle grandi occasioni. Si dorme qualche ora, ci si sveglia poi ci si riaddormenta. Arrivare fino a lì è stata soprattutto una questione di gambe, arrivare in cima sarà anche una questione di testa. Il buio, la notte e il freddo potrebbero giocare qualche scherzo.
La sveglia non ha senso puntarla, quando Barack viene a chiamarci in tenda siamo già tutti svegli. Ci troviamo intorno al tavolo con le tazze di tè, parliamo poco, solo qualche battuta. Ho addosso tutto quello che potrei indossare: termica e pantaloni sulle gambe, termica in lana, pile e guscio antivento sopra. Unica cosa che rimane nello zaino, il piumino, che sarà un piacevole aiuto nel momento di maggior freddo, atteso tra le 3 del mattino e l’alba.
Partiamo a mezzanotte per essere in cima all’alba. Questa volta sarà Stewart a dettare il ritmo. Spiegare a parole cosa si prova in quei momenti è difficile, ripensi al lungo corteggiamento fatto di allenamenti, trekking e bicicletta. Tutto concentrato lì, in quei 1300 metri che separano Barafu Camp da Uhuru Peak, la cima del Kilimangiaro. Si parte, Pole Pole come sempre, stavolta forse anche di più. La prima ora ripercorre esattamente lo stesso percorso che avevamo fatto il giorno prima per acclimatarci, fa freddo ma per fortuna non c’è vento. Risaliamo su rocce, su una salita abbastanza verticale, davanti a noi a illuminare la notte solo una fila di luci, le pile frontali di chi è partito prima di noi.
Difficoltà e pensieri della salita alla cima del Kilimangiaro
Respirare a quella quota con il passamontagna in testa è questione di abitudine, spesso lo devo abbassare perché sento che non passa abbastanza ossigeno e il fiato si fa pericolosamente corto. Superato il tratto più verticale ci fermiamo un attimo per bere e riposarci. Da qui ha inizio una lunghissima camminata su sentiero che ci dovrebbe portare a Stella Point, prima, e sulla vetta, poi. È passata l’una di notte, stiamo camminando da un’ora abbondante, e testa e gambe rispondono bene. Si riparte, nell’oscurità totale. Sono dietro Stewart e fisso solo i suoi scarponi che vanno avanti, un passo dopo l’altro. In condizioni normali, ad un’altezza inferiore e con la luce del sole avrei passato tutto il tempo a guardarmi intorno, questa volta no, stavolta quasi non penso neanche a dove sono, stavolta serve solo andare avanti ed arrivare su. Non ho orologio, non mi rendo conto del tempo che passa, continuo solo a mettere un piede davanti all’altro, costantemente. L’aria si fa sempre più fredda, il mio rapporto con il passamontagna sempre più difficile: se lo tengo vado in affanno, se lo tolgo l’aria è troppo fredda e mi congela naso e gola. “Fine?” chiede Stewart, ”tutto bene?”.“Yes let’s go!” sono le uniche parole che riesco a pronunciare. Continuiamo a salire fino alla seconda sosta programmata: tè caldo portato da Aloyce, nostro portatore di alta quota. “Fine?” chiede stavolta Arnold, “Yes. Altitude?” gli rispondo. ”5200 metres” dice lui.
È la prima volta da quando giro per montagne che mi trovo ad una quota simile, si azzerano completamente i pensieri, le gambe rispondono, la testa pure. Vuoi vedere che riusciamo veramente ad arrivare su?
Gli ultimi 700 metri di salita alla cima del Kilimangiaro
La strada è ancora lunga, mancano quasi 700 metri in verticale. Sembra quasi che ci sia ancora più buio, di sicuro fa più freddo di quando siamo partiti. Metto il piumino e il secondo paio di guanti, Stewart aveva ragione: sono le 3, da ora all’alba sarà il momento più freddo.
Ripartiamo, pole pole come sempre, immersi nella totale oscurità. Spesso a Milano mi capitava di pensare a come sarebbe stata l’ultima tappa, l’attacco alla vetta, pensavo a cosa mi sarebbe passato per la testa in quel momento. La realtà è molto diversa da come immaginavo, mi rendo conto che in quei momenti non pensi a nulla. Unica premura è mettere un piede davanti all’altro, a continuare a salire. Il respiro si fa più difficile, il freddo inizia a farsi sentire veramente e la salita sembra infinita. Davanti a noi illuminato dalla luna quello che rimane del ghiacciaio che abbraccia la vetta del Kilimangiaro. Queste senza dubbio le due ore più dure, a testa bassa continuando a camminare. Ci son stati dei momenti abbastanza difficili dove freddo e fatica han fatto vacillare qualcuno di noi. L’alba, il sole, la vetta, dove sono?
Ho letto molti libri di alpinismo, mi son rimasti in mente alcuni paragrafi di Simone Moro ed Ed Viesturs. Parlavano del valore della rinuncia, di quanto sia difficile tornare indietro quando manca così poco al traguardo. Solo in questa notte capisco davvero cosa volessero dire. Io sto bene, le gambe vanno da sole e non ho alcuna intenzione di rinunciare al mio sogno e tornare indietro. Posso solo immaginare cosa passi nella testa di alcuni escursionisti che vedo davanti a me tornare indietro senza raggiunger la cima. “Arrivare in cima è facoltativo, tornare a casa è obbligatorio” scrivevano sui libri. Il Kilimangiaro non è una montagna che ti mette in pericolo, ma è l’uomo che deve scegliere fin dove poter arrivare e capire fin dove può spingersi. Solo vedendo quelle persone tornare indietro mi rendo conto di quanto sia difficile dover rinunciare a pochi passi dalla cima.
Stella Point, 5756 metri
Un passo alla volta, pole pole come sempre e nell’oscurità, illuminati solo dalle pile frontali continuiamo a salire. Sono le 5 passate quando a pochi metri da noi, impressa su legno, la scritta “Congratulations, you are now at Stella Point, 5756 m.” ci riempie il cuore di soddisfazione. Stella Point è il reale traguardo, è la fine della salita , dopo di essa c’è una lunga passerella di poco più di mezz’ora in falso piano per arrivare alla cima. Un breve sosta di ricarica, chi per bere, chi per mangiare qualcosa. Il freddo ormai lo si sente fino alle ossa e qualcuno di noi cerca di farselo passare saltellando. Chi ha avuto qualche momento di difficoltà ora cerca un modo per riprendersi e finire la salita, manca poco, veramente poco. “Riusciremo ad arrivare in cima?” mi chiedevo tutte le notti prima di addormentarmi, “Si, ci riusciremo”, è la prima volta che riesco a darmi la risposta.
Da Stella Point il percorso continua su sentiero, come per le 5 ore precedenti, l’alba sta salendo e anche la tensione si sta allentando. Stewart continua a guidare la fila, ora anch’esso più sereno. C’è solo adrenalina in corpo ormai, le gambe ed il fiato non hanno più voce in capitolo. Un piede davanti all’altro per coronare un corteggiamento lungo un paio d’anni, ripensando a quelle domeniche in cui invece di andare al mare si andava in montagna per allenare corpo e mente a quella salita, 6 mesi di allenamenti compressi in un’unica notte, quando all’improvviso. Eccola.
Trekking sul Kilimangiaro, l’arrivo al punto più alto dell’Africa
“Congratulations, you are now at Uhuru Peak Tanzania, 5895m, the highest point of Africa”.
Congratulazioni sei ora ad Uhuru Peak, 5895 metri, il punto più alto dell’Africa.
Cosa pensi in quel momento? Mi è stato chiesto più volte al rientro. In quel momento in realtà non pensi a nulla, né percepisci più freddo o più fatica, completamente anestetizzato da quello che rimane dei ghiacciai del Kilimanjiaro a sinistra, da una distesa di nuvole e il sole che albeggia tra di esse, a destra. Sono a quasi 6000 metri e il sole sta nascendo, il lungo corteggiamento è finito. E sulla cima, dopo 6 giorni di cammino, sotto il passamontagna e gli occhiali da sole, qualche lacrima mi scende.
Finalmente in cima, il sogno si è avverato. Nessuno sta più nella pelle, tutti si lasciano andare a momenti di celebrazione, foto di rito, abbracci e lacrime, in pochissimi minuti. Si mette nello zaino qualche sasso come souvenir dell’impresa compiuta e si contempla per pochi minuti ancora il mondo dal tetto dell’Africa, dopo non più di venti minuti si riparte per la discesa. La strada fatta in salita al buio è ormai illuminata dal sole, l’adrenalina sta scendendo e la discesa non sembra nient’altro che una lunga passeggiata. Alle 09.30 rientriamo al Barafu Camp da cui eravamo partiti, per noi ora è tempo di riposare un po’ e renderci conto, o perlomeno provarci, di quello che abbiamo fatto. Fra qualche ora si pranza, e poi si scende fino al Mweka Camp, 3100 metri.
L’inizio della discesa dal Kilimangiaro
La discesa a Mweka camp è un percorso che impiega circa 3 ore, una lunga camminata che sembra non finire mai, fino alle 5 di pomeriggio. Una volta arrivati i ragazzi della crew ci accolgono con té caldo e pop corn. Per tutti noi, portatori compresi, questa è l’ultima notte prima di tornare a casa, e il clima al campo ricorda molto quello dell’ultimo giorno di scuola ai tempi del Liceo, con una punta di amaro in bocca perché non vorresti che quell’avventura finisca.
Ritorno alla civiltà: Mweka Camp (3300 slm) – Mweka Gate (1800 slm) – giorno 7
Tempo di percorrenza : 3 ore
Sveglia con calma verso le 8, colazione, abbracci e ringraziamenti a tutta la squadra di portatori che ci hanno guidato e assistito in questa impresa. Ci salutano con una canzone che ripercorre tutto il nostro percorso, racchiuso in tre parole chiave : “Kilimangiaro, Hakuna Matata”. Kilimangiaro tutto bene. Li ringraziamo anche noi uno per uno, “You will be always in our heart and our souls”, Sì, sarete sempre nel nostro cuore e nelle nostre anime, come recita il discorso di Ale. Pronti per affrontare le ultime 3 ore sul Kilimangiaro: una lunga discesa nella foresta pluviale, la stessa da cui da cui siamo partiti, ci riporta fino al gate. Il nostro il pullman è lì ad attenderci e ci accompagna nuovamente a Moshi.
L’avventura è finita, il sogno si è avverato.
Un grazie particolare va ad Alessandro, Stefania, Elisa, Davide, Giulia, Daniele e Valentina miei meravigliosi compagni di viaggio.
Un secondo Ringraziamento va a Stewart, Jackson, Cornel e Arnold, nostre guide fisiche e spirituali sul Kilimanjiaro, a tutta la crew ed ai portatori che han reso il sogno possibile.
A chi è adatto il trekking sul Kilimangiaro
Questa avventura mi sento di consigliarla a tutti ma non è per tutti. Non è un normale trekking sia per le altitudini che si arrivano a toccare sia perché porta lontano da tutti i comfort a cui siamo abituati. Serve allenare tanto il corpo quanto la mente ed avere una passione verso la montagna che ti spinge a voler superare i tuoi limiti.
Preparazione atletica per il trekking al Kilimangiaro
La preparazione atletica per un milanese come me è stata impostata soprattutto su tanta corsa, bicicletta e qualche uscita nei weekend in quota: una cima da 4000 metri, un paio da 3000 ed alcune attorno ai 2500.
Abbigliamento consigliato per il trekking al Kilimangiaro
L’abbigliamento in un trekking come questo svolge un ruolo fondamentale. Si può allenare la resistenza all’altitudine e alla fatica ma non si può far nulla contro il freddo. Un abbigliamento non adeguato può rischiare di compromettere tutto il percorso. Fondamentali sono stati per me le maglie termiche e pile resistenti fino a 10 gradi sotto zero, calze termiche, guanti e il guscio antivento in Goretex. Tende, sacchi a pelo ci sono stati forniti dai Kessy Brothers.
Ne esci fisicamente provato, sì, ma quella vista, quei paesaggi, e quella soddisfazione di aver superato i tuoi limiti, di non aver mai mollato, di esser riusciti in un’impresa non banale né comune, ripagano tutta la fatica e gli sforzi fatti. E d’ora in poi in testa, così’ come nel cuore, tre parole risuoneranno per sempre: Kilimangiaro, Hakuna Matata!
2 Comments
Che super avventura! Dev’essere stato mitico!
La settimana scorsa sono capitata nel canale youtube di The North Face con le spedizioni sponsorizzate da loro e posso solo immaginare la bellezza dei paesaggi, ma anche la fatica 🙂
Avresti in mente di ripetere l’esperienza in un futuro su altre vette?
ciao Veronica, l’avventura è stata stupenda. In futuro mi piacerebbe provarne altre simili, stavo iniziando a guardare l’elbrus, monte in Caucaso, e l’Aconcagua montagna più alta del Sudamerica. Non ti nascondo che i sogni veri sono due: il primo è una montagna di casa nostra, il Cervino, la cima più affascinante delle Alpi. Il secondo sogno, penso comune a tutti gli appassionati di montagna sia un giorno andare in Himalaya, non per forza su un’ottomila perché lì costi e rischi aumentano esponenzialmente ma un trekking in quelle valli legandoci insieme una salite su qualche cima di 6000 o 7000 metri – Fabio